Psicologia delle attese: dov’è finita la nostra capacità di aspettare?

Psicologia delle attese

Quando si parla di attese, ci assale subito una sensazione di noia mista a ricordi di vita quotidiana non troppo piacevoli.

Come tutti già sappiamo, le attese sono intervalli di tempo variabili in cui si aspetta che qualcosa accada o che qualcuno arrivi; in questi momenti di stasi in cui si perde facilmente la calma, la pazienza è la virtù di cui tutti avremmo grande bisogno e che pochi, ahimé, posseggono.

Ciò che forse, invece, non si sa è che l’attesa è una capacità tutta umana e che gli altri esseri viventi non la possiedono per natura.

Addentrandoci nelle nostre strutture cerebrali, troviamo da una parte il sistema limbico, noto anche come “cervello emotivo” ovvero la sede delle nostre emozioni, dall’altra invece troviamo la corteccia prefrontale, sede della nostra razionalità.

Proprio l’area prefrontale è responsabile dello sviluppo della capacità di saper aspettare che si sviluppa compiutamente solo intorno ai 25 anni.* Infatti, riuscire a tenere sotto controllo il cervello emotivo è una vera e propria conquista che si raggiunge solo nel tempo.

Nell’epoca del “tutto e subito” in cui viviamo, la nostra capacità di attendere si è via via azzerata, d’altronde oggi qualsiasi cosa desideriamo o di cui abbiamo bisogno nella vita di tutti i giorni e nel lavoro è a portata di mano, o meglio di un click.

L’attesa ci provoca grande disagio perché ci porta a pensare che stiamo perdendo la cosa più preziosa che abbiamo: il tempo. Di questa sensazione è responsabile anche la pressione sociale del performare sempre e a tutti i costi, che si trasforma in un timore costante di perdere un’opportunità che sia di lavoro, di interazione sociale e nella vita privata.

Ciò accade alla maggior parte di noi in contesti anche molto diversi tra loro. Succede per esempio durante una coda in macchina per recarci in ufficio, nella sala d’attesa di un medico, mentre aspettiamo l’autobus, quando siamo in fila in cassa al supermercato o quando l’esito di un colloquio lavorativo tarda ad arrivare.

Per non parlare di quando anche la tecnologia ci rema contro: il PC che ci mostra l’icona dell’aggiornamento in corso (decisamente troppo lungo) oppure la barra di caricamento di pagine internet o app che resta ferma.

Un studio inglese ha calcolato il limite massimo di attesa in media: si perde la pazienza dopo soli 8 minuti e 22 secondi. Mentre a contatto con gli strumenti tecnologici la soglia di sopportazione dell’attesa si abbassa ulteriormente: se si aspetta più di 1 minuto per un download, l’umore inizia ad alterarsi, raggiungendo il picco dopo 5 minuti e 4 secondi di attesa.**

Per affrontare al meglio le attese di qualunque tipo che la nostra società e la vita di tutti i giorni ci impongono, proviamo a fare una prima differenza, distinguendo le attese positive da quelle negative: queste ultime sono le più pericolose perché ci costringono a rimanere passivi, inermi e non ci portano alcun beneficio oltre a nervosismi e frustrazione per aver perso del tempo utile.

Al contrario, le attese positive possiamo crearcele da solisfruttiamo il potenziale riflessivo delle attese, trasformandole in momenti dedicati a noi stessi, per capire cosa vogliamo e dove stiamo andando.

Fare il punto della nostra situazione attuale e futura in un momento di pausa dalla frenesia quotidiana, sarà un vero toccasana per riorganizzarsi al meglio e, dopo l’attesa, ripartire alla carica!

 

*Fonte: https://www.concordia.ch/it/magazin/warten.html 

**Fonte: http://www.psicologheinrete.it/benessere/il-saper-aspettare

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